ROMA-CONVEGNO SU “FINE VITA, DEONTOLOGIA E LEGGE DELLO STATO”

Dal nostro inviato Enrico Maria Tecce

Presso Palazzo Maffei Marescotti – sede del Vicariato di Roma – si è svolto il workshop dal titolo: “Fine-vita: deontologia e legge dello Stato” Problemi e prospettive per il medico in vista della decisione della Corte Costituzionale.
Lo spunto è la decisione della Corte che in parte ha già valutato la compatibilità costituzionale dell’art. 580 c.p., che punisce l’istigazione al suicidio, e per altro verso ha devoluto al legislatore il compito di definire le norme in materia.
Il problema è stato posto dal processo a Marco Cappato, per aver accompagnato in Svizzera dj Fabo che voleva cessare di vivere.
Il professor Colavitti dell’Università dell’Aquila ha incentrato il suo intervento sul rapporto tra leggi dello Stato e Codici deontologici. Questi ultimi integrano le Leggi nei settori lasciati in bianco e alzano il livello di tutela degli interessi in gioco, per cui si muovono all’interno e non al di fuori delle stesse Leggi.
In campo medico il codice deontologico guida la condotta del medico verso il paziente e rende quest’ultimo fiducioso nei confronti del medico stesso.
Il dottor Muzzetto, presidente dell’Ordine dei Medici di Parma, nell’intervento, ha sottolineato che il codice deontologico costituisce una garanzia di autonomia ma non di autodeterminazione per il medico, il quale si pone come garante della salute individuale e collettiva, senza che per questo possa essergli negato il diritto di opporre obiezione di coscienza riguardo a trattamenti contrari alla propria coscienza. In questo senso assume particolare rilevanza la distinzione tra suicidio assistito e omicidio “fai da te” , sulla cui distinzione i Codici deontologici devono costituire un avamposto di tutela delle posizioni sia del medico che del paziente.
Il professor Gambino, pro-Rettore dell’Università europea di Roma, ha posto l’attenzione sul rischio che una norma che consenta il suicidio assistito apr, di fatto, la porta a terapie somministrate non a malati terminali ma a pazienti affetti da disabilità più o meno gravi, accettate in sede di consenso informato e senza uno stretto controllo sulla gravità e ineluttabilità dell’esito della malattia. Insomma, aprire ad una norma che preveda in astratto la possibilità del suicidio assistito può essere eticamente molto pericoloso in fase attuativa e consentire una gestione troppo libera della vita del paziente, anche utilizzando in maniera distorta la terapia palliativa del dolore.
L’incontro non aveva certamente la pretesa di risolvere un tema così ampio e scottante come la gestione del fine-vita, ma ha fornito un ampio e qualificato contributo con valide considerazioni e riflessioni su un tema considerato tra i più delicati nell’equilibrio tra morale e libertà di medico e paziente.

Roma-Palazzo Maffei Marescotti

A cura di Enrico Maria Tecce

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