La Teriaca, il più antico dei farmaci anti vipera
Il clima caldo e il ripopolamento di vipere dei nostri monti voluto, negli ultimi anni dagli ambientalisti, fa ritornare attuale il problema della terapia dei morsi di serpenti come appare chiaro da questo caso clinico.
Lunedì scorso, appena iniziata la settimana e il turno di lavoro, è entrato in ambulatorio un uomo di 56 anni, mio vecchio paziente, molto preoccupato.
Ha raccontato subito la sua storia.
Durante la notte, verso l’una del mattino, ha sentito un morso sul polpaccio destro. Subito si è alzato, ha controllato se tra le lenzuola o nella stanza vi fosse un insetto, senza trovare nulla. Ha lavato la ferita, disinfettata e medicata con una pomata alla gentamicina e cortisone, quindi é tornato a dormire.
Al mattino ha sentito la gamba indolenzita e un forte prurito al polpaccio.
In tale zona è comparsa una macchia rossa e gonfia. Si è grattato molto per cui si é medicato nuovamente, poi insieme alla collaboratrice domestica è tornato in camera da letto per cercare insetti o aracnidi che avrebbero potuto morderlo. Vivendo in una villetta isolata, in un parco tra la campagna, ha provvisto di zanzariere ogni finestra e balcone, ma non sempre si è ricordato di chiuderle. Non trovando nulla, ha fatto smontare il letto. Sotto, ha trovato un serpente arrotolato su se stesso. Lo ha ucciso e insieme alla cameriera lo ha gettato in un cassonetto e poi, in preda al panico è corsa in ospedale.
Alla visita si è presentato lucido, anche se molto preoccupato.
Ha camminato regolarmente e non ha presentato segni da deficit neurologico. La pressione arteriosa era normale, la frequenza cardiaca lievemente accelerata e sulla superficie posteriore della gamba destra presentava un’area edematosa e eritematosa, rotondeggiante, con un diametro massimo di circa 10 centimetri. La superficie era escoriata per il grattamento. Né la gamba né la zona colpita era dolenti.
Non ho osservato fori che tipicamente esitano al morso dei rettili. I diametri dell’arto misurati a 10 centimetri sia a valle che a monte dall’area lesa sono identici a quelli dell’altra gamba (in caso di morso di vipera la gamba si gonfia anche molto a causa della necrosi tessutale indotta dal veleno).
Interrogato sul tipo di serpente, non ricordava né il colore né la forma della testa.
Nonostante le rassicurazioni non si è calmata molto, quindi ha telefonato alla collaboratrice domestica perché cercasse di recuperare il rettile dal cassonetto per consentirne l’identificazione.
Intanto ho rivisto con lui l’intera anamnenesi facendogli notare che erano già passate molte ore dal morso e che non erano sintomi da avvelenamento. Non aveva dolore né disturbi del ritmo cardiaco, comunque per tranquillizzarlo l’ho avvertito che sarebbe dovuto restare in osservazione per altre sei ore.
Mentre praticava un tracciato elettrocardiografico, ho telefonato al centro antiveleni di Milano, ove mi hanno consigliato di tenere in osservazione per almeno 12 ore il paziente e solo in caso di gravi sintomi sistemici (aritmia grave, ipotensione ed edema dell’arto ingravescenti, leucocitosi e disturbi della coagulazione severi) avrei dovuto praticare il siero antiofidico facendo attenzione ad eventuali reazioni allergiche gravi. Per una maggiore sicurezza ho chiamoto anche il miglior tossicologo che conosco, il dottor Gianpaolo Palumbo, primario della Medicina d’Urgenza, che mi ha detto: “se non ci sono i due fori, distanziati di un centimetro, non è una vipera!”.
Nel frattempo ha telefonato la cameriera, riferendo che non era riuscita a ritrovare il serpente.
Alle tre del pomeriggio, trascorse più di dodici ore dal morso, il paziente stava bene, era completamente tranquillizzato, poteva tornare a casa per il pranzo e io potevo concludere tranquillamente il mio turno di lavoro.
Continua nel prossimo numero
raffaeleiandoli.ilponte@gmail.com