I meccanismi d’azione della fototerapia dinamica in oncologia dermatologica
La terapia fotodinamica (Photo Dynamic Therapy) è una metodica diagnostica-terapeutica non invasiva utilizzata in ambito dermatologico per il trattamento dei Carcinomi Basocellulari piano-superficiali e per le Cheratosi Attiniche.
Esso sfrutta l’azione di un pro-farmaco sotto forma di pomata che, applicato nelle zone da trattare, viene metabolizzato in una sostanza fotosensibilizzante (la Protoporfirina IX) solo dalle cellule bersaglio, quelle mutate in senso tumorale, che hanno una elevata attività metabolica.
La successiva irradiazione, della zona cutanea trattata, con una sorgente luminosa (a 630 nm) determina la morte delle cellule bersaglio attivate.
L’irradiazione può avvenire impiegando apposite lampade o mediante l’esposizione solare (fototerapia dinamica in luce ambiente).
Il Metil Aminolevulinato cloridrato in crema, Metvix, è il profarmaco che adoperato in combinazione con la terapia fotodinamica (PDT), fornisce un’opzione di trattamento efficace per la cheratosi attinica, il carcinoma basocellulare superficiale e la malattia di Bowen (BD). Buoni risultati clinici sono stati riportati in letteratura, con risposte complete per le cheratosi attiniche. Nel carcinoma basocellulare, sono stati riferiti tassi di completa guarigione dall’85% al 93% in 3 mesi.
L’attuale evidenza ha dimostrato che questo trattamento non invasivo è superiore in termini di risultato estetico ad altre strategie, quali la chirurgia. Inoltre offre i vantaggi della relativa semplicità, il basso rischio di effetti collaterali ed una diminuzione delle complicazioni determinate dalla formazione di cicatrici.
Un limite a questa metodica terapeutica è rappresentato dalla mancanza di un riscontro istopatologico. Infatti, quando la PDT con ALA si effettua come pura terapia non invasiva e quindi senza l’uso di anestetico iniettato per praticare una biopsia incisionale, l’assenza di un riscontro diagnostico istopatologico sulla reale natura della neoformazione cutanea da trattare, rappresenta un limite non poco rilevante. Inoltre, bisogna ricordare come, in alcuni casi, sia indispensabile e necessario avere anche una reale valutazione della radicalità oncologica per il trattamento effettuato. Tale ostacolo diviene inesistente qualora si pratichi un esame in epiluminescenza con apparecchi adatti o si esegua un esame in microscopia confocale.
Un altro limite della PDT è rappresentato dalla sintomatologia dolorosa sia in trattamento che post-trattamemto con PDT.
Infatti circa il 50% dei pazienti riferiscono sensazioni di dolore e bruciore intensi nella fase del trattamento. In questi casi, per ridurre il dolore si è tentato, senza successo, di raffreddare la zona trattata con l’uso di ventilatori o di acqua fredda spray, ma si dovrebbe adottare una terapia anti-dolorifica pre-trattamento e post-trattamento.
Nella mia esperienza si provoca dolore, anche molto forte, adoperando le lampade ad ultravioletti studiate per questa forma di cura. Invece, adoperando la luce ambientale il dolore è completamente assente o minimo.
Gli insuccessi terapeutici veri e propri sono rappresentati dalle recidive locali a distanza di tempo più o meno lungo. In dieci casi di carcinoma basocellulare piano-superficiali che ho trattato mediante PDT con ALA ho riscontrato, in un follow-up di 12 mesi, recidive locali in una percentuale del 15%. Questi pazienti possono essere trattati con un nuovo ciclo di fototerapia dinamica o, se l’età lo consente, trattati chirurgicamente.
Nel caso delle cheratosi attiniche, dei 15 pazienti che ho trattato, nessuno ha avuto recidive dopo un anno.
Foto da: www.slideshare.net
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