CAMBIANO I “COLORI” DEL PRONTO SOCCORSO

 

Il Pronto Soccorso, in quanto tale, fu una invenzione dei comandanti delle  legioni romane e consisteva nel soccorrere i soldati feriti direttamente sul campo di battaglia avendo a disposizione vere e proprie “cassette” per le urgenze che contenevano strumenti chirurgici, bende ed unguenti vari.  Per fare il salto di qualità nel campo dell’assistenza immediata ai feriti sui vari campi di battaglia ci pensò   Napoleone che chiamò a organizzare questo tipo di soccorso un famoso chirurgo: il Barone Jean Dominique di Larrey. Quest’ultimo creò il primo servizio di ambulanze che chiamò “volanti” per il trasporto veloce dei feriti agli ospedali da campo organizzati, sempre da lui, nelle retrovie degli epici scontri che venivano costantemente affrontati per dilatare i confini dell’impero.  Il problema era quello della tipologia di ferito che si andava a raccogliere. Oggi si metteno in ambulanza i più gravi o, comunque, coloro i quali sono in imminente pericolo di vita, all’epoca il nobile chirurgo sceglieva di trasportare gli ammalati tra quelli che potessero essere reimpiegati in battaglia il giorno dopo. I soldati in prognosi riservata non erano “utili” alla causa, per cui venivano lasciati morire sul campo di battaglia.  Nel tempo le cose sono cambiate e da alcuni decenni esiste il dovere etico di curare tutti i feriti, qualunque divisa indossino. Già dal 1912 nella campagna del Montenegro durante la Guerra dei Balcani, nell’Ospedale Italiano di Podgoritza, oltre ai nostri medici militari c’erano quelli svedesi, turchi ed austriaci che seguivano i loro feriti. Successivamente, durante il primo conflitto mondiale e dopo gli ottimi risultati ottenuti tre anni prima dai medici italiani che accoglievano per prima i feriti più gravi iniziò l’abitudine di selezionare gli arrivi in ospedale. E fu così che nacque il primo “triage” (dal francese “trier”) vero e proprio. Il sistema fu successivamente chiamato così in lingua francese, ma per decenni venne usata la parola latina di “cernita”. Furono istituite le prime stazioni di cernita, appunto, degli aventi bisogno e vi fu la prima etichettatura a “colori”, nel senso che vi erano due tagliandi (solo rosso e verde) da consegnare all’incaricato del trasporto fino alla più vicina stazione di soccorso. Il rosso veniva concesso a chi non era trasportabile, indicazione importante perché all’improvviso un ospedale da campo poteva essere spostato in altro luogo ed era necessario conoscere il numero dei codici rossi. Infine, sul tagliando colorato venivano scritte le generalità e il corpo di appartenenza. Dal 1915 la scheda di triage militare ebbe anche il codice bianco per ferite superficiali e, comunque, di scarso peso prognostico.  Dal 1960 il triage negli Stati Uniti aggiunse anche il colore giallo e, fu prevista, al di là del colore del codice dell’individuo che si recava in Pronto Soccorso, la gratuità della prestazione, anche in considerazione del fatto che nell’America del Nord mancava  e tutt’oggi manca quasi del tutto, l’assistenza sanitaria da parte dello stato federale.  I criteri dei quattro colori del triage sono divenuti sempre più diffusi ed accettati in ogni latitudine. Il codice colore assegnato all’arrivo in un nosocomio dopo una prima valutazione da un infermiere preposto, il quale valuta le priorità assistenziali e, in base alla gravità clinica, si stabilisce l’ordine in cui ci sarà la visita medica.   Entrando nei dettagli va ricordato che il codice bianco va attribuito ai casi che non presentano urgenza, nel senso che non hanno bisogno del Pronto Soccorso e possono rivolgersi al proprio medico. Il codice verde rappresenta una urgenza minore per lesioni che non interessano le funzioni vitali, ma debbono comunque essere curate. Con il codice giallo inizia ad essere valutata l’urgenza con il paziente che presenta una compromissione parziale delle funzioni dell’apparato circolatorio o respiratorio che non prevede un pericolo di vita immediato. Con il rosso si intendono le funzioni vitali compromesse e l’imminente pericolo di vita. Con il codice nero si intende il decesso e con l’arancione quando ci si trova di fronte un paziente contaminato. Con quest’ultimo colore si ritorna al passato, al triage inverso quando chi stava meglio veniva salvato. In questo caso chi è meno contaminato ha più possibilità di salvarsi.             Il codice blu viene attribuito in sede extraospedaliera durante le manovre di rianimazione in mancanza del sanitario. In aggiunta a questi colori ne sono stati utilizzati altri per categorie particolari: quello d’argento per il paziente geriatrico fragile e rosa per le donne vittime di violenza.  Tutti questi colori legati ad una organizzazione del 2001 hanno fatto il loro tempo, anche in ragione del sovraffollamento dei Pronto Soccorso, con la possibilità di dirottare i pazienti meno gravi verso il territorio. Infatti da circa due anni si stanno studiando e siamo alla stretta finale, i nuovi codici delle urgenze che non saranno più a colori, ma bensì a numero. Il numero “1” rappresenterà l’emergenza, il “2” le urgenze, il “3” le urgenze differibili per condizioni cliniche stabili ma con la necessità di prestazioni complesse, il “4” le urgenze minori con prestazioni diagnostiche-terapeutiche semplici e mono-specialistiche. Il “5” indicherà le non urgenze “smaltibili” nel giro di quattro ore.  La tempistica per la “valutazione” dei pazienti è legata, ovviamente, al numero di codice, sarà importante e sarà a cura sempre degli infermieri anche la rivalutazione e la sorveglianza. Il triage nelle strutture con più di 25mila accessi l’anno deve essere affidato ad infermieri, con almeno sei mesi di esperienza in Pronto Soccorso, dedicati alla funzione specifica di triage e con una formazione di affiancamento di tutor esperti.
gianpaolopalumbo.ilponte@gmail.com

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