14 febbraio – la diocesi in festa
Stando al racconto, talvolta contestato, di fra’ Scipione Bellabona, S. Modestino sarebbe stato martirizzato con il Sacerdote Fiorentino ed il Diacono Flaviano il 14 febbraio 311.
Per eludere il divieto di sepoltura dei condannati, i Cristiani fedeli ai Martiri, ne occultarono opportunamente i corpi riponendoli nella tomba che Marco Ofillio aveva fatto approntare per il padre.
Nel 313, quindi a poco più di un anno dal Martirio di S. Modestino e dei suoi sfortunati compagni, venne emanato l’Editto di Costantino. E’ probabile che i Cristiani del Vico Pretorio, nel Pagus di Urbinianum, sopravvissuti alle persecuzioni, avessero posto un qualche simbolo a ricordo del Martirio.
Nel corso del tempo, i documenti consentono di vedere come al nome Urbinianum si sia sostituito quello di Valle. Nel 1166, col ritrovamento delle reliquie dei tre Martiri, all’antico nucleo di abitazioni di Urbinianum venne dato il nome di “Valle dei Santi”, e poichè Casale di Valle dei Santi doveva essere troppo lungo, si disse solo Casale di Valle, o ancora più sinteticamente Valle.
La traslazione delle reliquie di S. Modestino da Urbinianum alla Cattedrale di S. Maria, poi Duomo di Avellino, avvenuta nella settima decade del 1166, venne descritta dal Vescovo Ruggiero (1226-1242), successore di Guglielmo (1166-1206), secondo quanto riferito da Scipione Bellabona in “Avellino Sacra”.
Tutto derivò dalla ricerca di antichi marmi che veniva effettuata nel territorio di Avellino per abbellire la “fabrica nova” del Duomo, iniziata nel 1132 dal Vescovo Roberto (1131-1144), continuata dal suo successore Vescovo Vigilanzio (1145-1165?). Il Vescovo Guglielmo aveva adocchiato alcune colonne del “Pretorio” e particolarmente una, monolitica. Tali ruderi, come si espresse un documento del 1299, si trovavano in “una terra con vigna sita nella pertinenze di Avellino, nel luogo, detto “Praetorium””. Inoltre, un documento del 1192 chiariva che si trattava di una “terra in loco Preturo” confinante con “altra terra dello episcopio di Avellino”.
Stando alla Tradizione, in un giorno di estate del 1166 il Vescovo Guglielmo portò con sé degli operai per prelevare la colonna e portarla ad Avellino. Mentre i manovali erano intenti a liberare la base della colonna, i colpi rimbombavano, come a significare che vi fosse del vuoto. Venne ritrovata la tomba e riesumati i tre corpi, che vennero identificati, grazie alla lettura dei nomi, tenendo conto che S. Modestino aveva sul petto la Colomba d’argento, simbolo della sua dignità episcopale. Poichè i Mercoglianesi erano anch’essi devoti a S. Modestino, se fossero venuti a conoscenza della scoperta, avrebbero certamente impedito il trasferimento ad Avellino, da cui Mercogliano era ormai autonoma.
Occorreva fare tutto in segreto. Perciò il Vescovo Guglielmo convocò “uno de’ primarii cittadini avellinesi, ch’era in quei pressi, dove possedeva alcuni poderi. A quell’uomo, probo e degno di stima, per nome Guglielmo de Archidiacono – non appartenente al clero, e perciò insospettabile, – il Vescovo, in gran segreto affidò la cassetta, in cui aveva riposte le sacre ossa. Poi lo fece avviar solo, come se colui, per suoi affari, volesse tornare in città. Si pose poi in cammino egli stesso, accompagnato da una folla di avellinesi, che per necessità, se non a bello studio, aveva fatti venire a Pretorio, come se dovessero cooperare a spingere innanzi, sui rulli già apprestati, quel gran fusto di colonna. In tal modo il Vescovo riuscì ad eludere ogni sospetto dei mercoglianesi e degli abitanti della frazione di Urbiniano. Costoro, infatti, osservando che il Vescovo si occupava soltanto del trasporto della pietra scolpita si allontanarono, tornando in pace alle loro case”.
Non appena il de Archidiacono lasciò il sentiero campestre e raggiunse la “Via Campanina”, si diffuse la notizia del ritrovamento delle reliquie e della loro traslazione in atto. Nel frattempo, il Vescovo e le persone che lo accompagnavano per il trasporto della colonna, raggiunsero il de Archidiacono, e alla presenza di tantissimi fedeli accorsi da Avellino, venne aperta la cassetta con le reliquie e mostrata al pubblico, che ovviamente festante cominciò ad intonare canti sacri e grida di felicità. Una volta condotte le reliquie al Duomo, vennero esposte alla pubblica venerazione.
autore Mario Barbarisi
dall’OSSERVATORE ROMANO
febbraio 2007