PER LE DONNE CHE VANNO IN CHIESA MENO MALATTIE E VITA PIU’ LUNGA
Il nostro è noto per essere un settimanale cattolico e questa settimana parleremo di una ricerca che va a favore di coloro i quali frequentano i luoghi di culto cattolici o protestanti che siano. La notizia di cui parliamo, per altro pubblicata nel maggio dello scorso anno sulle riviste scientifiche, riguarda le donne che vanno spesso in chiesa e che presentano meno patologie ed una vita più lunga rispetto ai soggetti dello stesso sesso che non frequentano i luoghi di culto. L’indagine è stata condotta con la collaborazione della Nurses’ Health Study (notissima associazione degli infermieri degli Stati Uniti d’America) e pubblicata sulla rivista dell’associazione dei medici americani (JAMA) e, fin da quando è apparsa la prima volta on line, invece di dare delle risposte, in realtà ha generato una serie infinita di domande. Nell’editoriale che accompagnava il numero della rivista, il direttore responsabile sottolineava che non si poteva non tener conto dei risultati ottenuti in considerazione del numero delle persone arruolate e della lunga durata del controllo a distanza. Quindi andare in chiesa per il sesso femminile, a parte la religiosità dell’atto, riduce il rischio di mortalità per ogni tipo di causa ed in particolare per i tumori e per le malattie cardio-vascolari. Il responsabile dell’analisi, il Professor Tyler J VanderWeeler (di chiare origini olandesi) della Chan School Public di Harward, con i suoi collaboratori ha valutato la correlazione tra i soggetti che frequentano i luoghi di culto e partecipano a funzioni religiose e la mortalità in un gruppo di donne seguite con un questionario per ben 16 anni. Diverso era il credo religioso di appartenenza, ma la stragrande maggioranza dei soggetti aveva dichiarato di essere cattolico o protestante. Il tutto è iniziato nel 1996 con l’arruolamento di ben 75mila donne (infermiere) e di queste 14mila avevano riferito di recarsi in chiesa più di una volta a settimana, 30mila una volta a settimana, 12mila meno di una volta a settimana e quasi 18mila di non andarci mai. Le caratteristiche del gruppo più “assiduo” riguardavano la mancanza di depressione, il non avere il vizio del fumo e di essere quasi tutte coniugate. Dopo 16 anni di follow up si sono registrati 13.500 decessi: 2.700 per malattie cardio-vascolari e 4.400 per cancro. A conti fatti si è avuto un dato importante e cioè che le grandi “frequentatrici” di luoghi di culto hanno presentato una percentuale di rischio di mortalità del 33% in meno rispetto alle donne che non si erano mai permesse di entrare in una chiesa. Coloro le quali avevano l’abitudine di andare una volta a settimana avevano anch’esse un “premio”, nel senso che il loro rischio scendeva al 26%, e quelle che andavano meno di una volta a settimana la riduzione di mortalità era del 13%. Gli autori hanno interpretato questi dati certi positivi grazie al ruolo che svolge la vita in comune, la socializzazione anche fuori dai luoghi di culto, senza tener conto che la mancanza di sintomatologia depressiva e di fumo hanno giocato di molto a favore del rischio della mortalità. Questo successo si spiega anche con il fatto che la maggior parte dei soggetti testati – come abbiamo già detto- era costituito da infermiere, ed in più cristiane, bianche, che percepivano un ottimo salario e sapevano in qualità di paramedici organizzarsi uno stile di vita quanto più salutare possibile (leggi a riguardo il dato della mancanza del fumo). La scoperta sicuramente è venuta fuori analizzando dei dati che dovevano condurre ad altre conclusioni di epidemiologia. Manca per correttezza scientifica il riscontro su una popolazione che non va in chiesa e che non fa l’infermiere di professione. Non è ipotizzabile l’organizzazione di un trial clinico con il riscontro con chi non va in chiesa ma ha identiche abitudini lavorative e familiari. Lo studio comparativo con le infermiere con stesse caratteristiche mostra nettamente la “sconfitta” per chi non va in chiesa. Gli autori però insistono nel sottolineare di non sottovalutare l’aspetto che loro hanno evidenziato perché è vero che il rapporto tra andare in chiesa ed avere ridotto il rischio di morte è evidente, ma la religione e lo spirito possono essere una risorsa per la salute dell’uomo. Il Professor Vanderweeler chiude il suo sforzo scientifico durato sedici lunghi anni con il suggerimento ai medici di valorizzare e tenere in giusta considerazione la spiritualità dei propri pazienti. Il Professor Dan G. Blazer della Duke University, autore dell’articolo introduttivo allo studio sulle abitudini religiose delle 75mila infermiere Nordamericane e la ridotta mortalità invita a “focalizzarsi sui dati, né più né meno, e non cercare di generalizzare oltre l’evidenza”. E successivamente si chiede: ”ma allora qual è la lezione di questo studio?” Lui stesso si dà la risposta: ”L’associazione statistica emersa da questa analisi è decisamente solida e importante; non è possibile ignorarla e certo merita di essere indagata a fondo”. Anche noi ne siamo convinti.
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