UNA PROTEINA CI HA RESO INTELLIGENTI

 

 

Gli antichi romani quando si trovavano di fronte ad una persona in grado di intendere fatti ed azioni dicevano che era capace di “intelligere”, che significava – per l’appunto –  intendere. Ancora oggi l’intelligenza è considerata l’insieme delle facoltà mentali e psichiche che l’uomo possiede per comprendere gli eventi e le circostanze, elaborare il pensiero e farsi capire dagli altri uomini e capirli a sua volta. Grazie ad essa l’uomo elabora modelli e schemi, giudica, si adatta alle varie situazioni della vita di tutti i giorni e fin da bambino inizia ad avere coscienza di sé e delle sue capacità che comprendono la memoria, l’ingegnosità, la prontezza di risposta ai vari stimoli, oltre a molti altri aspetti.   Di questa meravigliosa dote peculiare degli uomini se ne riconoscono diversi tipi, ma nel mondo d’oggi quella “emotiva” e quella “artificiale” sono di gran lunga oggi al centro dell’attenzione.       L’intelligenza emotiva è fondamentale oggi, soprattutto negli ambienti di lavoro dove la competizione è alta. Per Daniel Goleman, il grande psicologo di Harvard,  l’intelligenza emotiva è l’abilità di gestire noi stessi, le nostre emozioni, di esserne consapevoli, ma anche l’abilità di renderci conto di cosa ci rende produttivi, cosa ci distrae dal raggiungimento dei nostri obiettivi e cosa ci rende più efficaci. L’intelligenza artificiale è quell’abilità che possiede una macchina (oggi il computer), nello svolgere determinate funzioni, di utilizzare dei veri e propri “ragionamenti” finora tipici solo della mente dell’uomo.       Di questo tipo di intelligenza ne parlò prima della diffusione informatica il matematico McCarthy affermando che lo scopo di questa nuova “disciplina” sarebbe stato quello di “far fare alle macchine delle cose che richiederebbero l’intelligenza se fossero fatte dall’uomo.” Se possediamo, quindi, l’intelligenza con le sue meravigliose caratteristiche che abbiamo descritto e se siamo più intelligenti di tutti gli altri animali il merito va riconosciuto ad una semplice proteina, la quale nel corso dell’evoluzione umana è mutata permettendo ai nostri neuroni cerebrali di moltiplicarsi. In tutti i vertebrati il cervello è un organo particolarmente sviluppato ed è di gran lunga più complesso di quello che si possa immaginare, dotato di innumerevoli prerogative. A renderci edotti sui meriti della nostra capacità intellettiva legata ad una particolare protreina, è stata la rivista internazionale “Science”, che ha pubblicato un lavoro dello scorso anno del gruppo dell’Università di Toronto in Canada. Gli scienziati nordamericani,  in questa ricerca guidati dal Professor Benjamin Blencowe,  hanno  potuto stabilire che tra i vertebrati le dimensioni e la complessità del cervello variano molto a parità di geni. Nella ricerca viene riportato un esempio che riguarda l’uomo e le rane divisi da 350 milioni di anni di evoluzione, ma pur usando lo stesso numero  di geni simili per la “costruzione” degli organi in laboratorio, presentano capacità cerebrale diversa.   Infatti il cervello dell’uomo è cento volte più complesso.   A fare la differenza è una proteina: la PTBP1, conosciuta da molto tempo, ma mai messa in relazione con l’intelligenza. Nel corso dell’evoluzione questa proteina ha “perso” letteralmente un pezzo. Il suo accorciamento l’ha fatta diventare  la protagonista di un processo fondamentale per produrre altre proteine e gli organi del nostro corpo. Tale processo va in gergo sotto il nome di “splicing” che significa letteralmente montaggio, ma che rappresenta la trasformazione di una molecola di RNA, l’acido ribonucleico. Nell’uomo, il 95% delle trasformazioni proteiche avviene attraverso questo “montaggio”, presente ubiquitariamente, ma molto diffuso a livello cerebrale.       Ovviamente, oltre a far crescere il cervello come dimensione, lo fa crescere in complessità.  Genetisti italiani di grande valore internazionale quali Novelli e Boncinelli hanno preso letteralmente questa proteina e l’hanno “sistemata” nell’embrione di pollo, per poi riscontrarne a distanza di tempo un aumento dello sviluppo cerebrale.   Al momento gli studi non ci hanno ancora detto se con la proteina PTBP1 il pollo diventerà più intelligente. Per noi questo è poco importante, ma sarà fondamentale per il futuro per essere messi in condizioni di affrontare e vincere malattie complesse e difficili da medicare quali le disfrofie neuromuscolari, le malattie genetiche rare o addirittura rarissime come la Sindrome di Hutchinson- Gilford (l’invecchiamento precoce che interessa un bambino ogni 4/8 milioni).
gianpaolopalumbo.ilponte@gmail.com

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