I rischi dell’immersione subacquea
Torna l’estate e con le belle giornate torna la voglia di visitare posti nuovi e, magari, esplorare nuovi fondali marini. Ma andare sotto il mare richiede preparazione tecnica e la conoscenza dei rischi che sono legati alle immersioni, sia a piccole che a medie profondità.
Sulla spiaggia il nostro corpo è sottoposto solo alla pressione dell’aria che ci sovrasta. A livello del mare, come scoprì Torricelli, la pressione è pari a 760 mm di mercurio circa, che equivalgono ad un’atmosfera. Iniziando ad immergerci, oltre l’aria, comincerà a premere sul nostro corpo anche la colonna d’acqua che ci sovrasta. Noi non sentiamo questo peso perché i recettori nervosi presenti nella nostra pelle, i corpuscoli del Pacini, sono calibrati in modo da non reagire, generando un impulso nervoso a tale pressione, uniformemente distribuita su tutto il corpo, ma reagiscono prontamente al tocco delle zampe di una vespa o di una zanzara così che la possiamo schiacciare prima che ci punga.
A 10 metri di profondità il nostro corpo sarà compresso da un ulteriore atmosfera (altri 760 mmHg) oltre a quella dell’aria sovrastante la superficie del mare. Quindi sopporteremo il peso di 2 atmosfere, che diverranno 3 quando saremo a 20 metri. E così via, ogni ulteriori 10 metri di profondità comporteranno un aumento di 1 atmosfera nel peso che cercherà, senza riuscirci, di schiacciarci. A 50 metri di profondità il nostro corpo sopporterà una pressione di 6 atmosfere, e questa è anche la pressione dell’aria che respireremo dalle bombole. Infatti, le bombole ci forniranno sempre aria da respirare alla stessa pressione del mare che abbiamo intorno, cosicché il nostro torace possa espandersi senza fatica, nonostante una pressione 5 volte maggiore rispetto a quella che sopportiamo quando siamo sulla spiaggia.
Ma l’aria, a pressioni così alte, passa rapidamente nel sangue ove i gas che la compongono (prevalentemente azoto, ossigeno ed anidride carbonica) si sciolgono in fretta. Nessun problema per l’ossigeno e l’anidride carbonica che sono i gas generalmente coinvolti nella respirazione cellulare. Il problema è l’azoto. Questo gas sciolto nel sangue, nel momento della risalita, quando la pressione si riduce, tende a tornare sotto forma di gas. Se si emerge troppo in fretta l’azoto formerà delle bolle che potranno ostruire i vasi venosi ed arteriosi più piccoli provocando una malattia nota come embolia. La malattia può condurre a paralisi, disturbi visivi, cerebrali e nei casi gravi può risultare letale.
Per prevenire questo pericolo bisogna riemergere lentamente, alla velocità massima di dieci metri al minuto, e rimanere sempre nella curva di sicurezza delle tabelle per immersione subacquea.
Il primo soccorso consiste nella somministrazione di aspirina, sia per sedare i forti dolori caratteristici dell’embolia, sia per rendere più fluido il sangue, evitando la formazione di trombi ed emboli. Quindi si farà respirare ossigeno al paziente, in attesa dell’ambulanza che trasporterà il sub alla più vicina camera iperbarica.
Nel risalire, siccome la pressione diminuisce bisogna respirare sempre, perché se si trattiene il fiato per scattare una fotografia o perché presi dalla paura, l’aria nei polmoni verrà a trovarsi a una pressione superiore rispetto alla pressione dell’acqua intorno al corpo. Sarà come quando si soffia troppa aria in un palloncino. Questo, superata una determinata pressione scoppierà, mentre i nostri polmoni potranno lacerarsi o rimanere più o meno danneggiati. È la malattia da sovradistensione polmonare, che potrà essere prevenuta ricordandosi di espirare sempre un po’. Per la terapia, i malcapitati andranno ricoverati rapidamente in un reparto di broncopneumologia, ove la malattia potrà essere trattata sia con presidi medici che chirurgici, in base ai referti TAC e RMN.
Superati i 35 metri di profondità, verso i meno 40 metri, in alcune persone l’alta saturazione parziale d’ossigeno conduce alla comparsa d’allucinazioni o di false percezioni. Il subacqueo scende sempre più giù pensando di riemergere, è disorientato, vede colori o cose inesistenti, inizia a ridere o a piangere perdendo l’erogatore che lo collega alla bombola dell’aria. E’ l’ebbrezza degli abissi, una condizione d’alterazione sensoriale che può risultare fatale. La prevenzione si basa su 2 principi fondamentali. Non scendere mai più giù di 30 metri e non immergersi mai da soli. Un compagno d’immersione potrà infatti aiutare l’infortunato fornendogli il suo erogatore d’emergenza (un secondo respiratore che tutti i subacquei hanno) e orientandolo verso la superficie. La terapia consiste nell’ascendere ad una profondità minore. Risalendo l’ebbrezza degli abissi tende a sparire spontaneamente. Quindi, mai da soli sott’acqua.
L’esplorazione subacquea è entusiasmante, ma bisogna seguire le regole del mare. Per essere preparati ad affrontare i pericoli occorre conoscerli, e a tale scopo ci sono tanti centri di formazione subacquea nei quali si possono conseguire brevetti di complessità crescenti.
Il primo centro in città la fondammo negli anni ‘80 io e Franco Nicodemi. Entrambi istruttori PADI (Professional Association of Diving Instructors) abbiamo brevettato tanti appassionati nella nostra scuola (BluSub) poi, presi dagli impegni di lavoro e di studio, abbiamo interrotto l’attività didattica, che oggi viene continuata da Annino Festa, il quale attualmente segue il metodo di preparazione della FIPSas (Federazione Italiana Pesca Sportiva ed Attività Subacquee).
Ma chi ha poco tempo per seguire un corso nei mesi di lavoro, può cercare una scuola nel luogo ove trascorre le vacanze, così potrà immergersi senza rischi.
Per saperne di più:
https://www.padi.com/padi-courses/open-water-diver
raffaeleiandoli.ilponte@gmail.com