SCOPERTI IN OLANDA I GENI DELLA FELICITA’
Ai miei tempi andava di moda una canzone cantata da Albano e Romina Power e la “filastrocca” era più o meno di questo tipo:…”felicità, è tenersi per mano andare lontano, la felicità, è il tuo sguardo innocente in mezzo alla gente….”. Sicuramente si può essere felici e tenersi per mano o guardare gli occhi innocenti della propria amata esprimendo gioia e contentezza, perché anche in questo modo si esteriorizza uno stato d’animo che corrisponde ad una soddisfazione di un desiderio o al raggiungimento di un obiettivo. Ma il concetto di felicità è vasto perché appartiene alla sfera del trascendente ed è il frutto della soddisfazione dei bisogni primari e degli impulsi dei singoli individui. Ci sono nel mondo Nazioni come gli Stati Uniti d’America (leggi la Dichiarazione di Indipendenza) che hanno sancito esplicitamente nella loro Costituzione il concetto di felicità. Anche l’Articolo Terzo della Costituzione Italiana parla del diritto di tutti al “pieno sviluppo della persona umana”. Felicità deriva da “felix” latino che corrispondeva nell’antica Roma all’abbondanza, alla ricchezza ed alla prosperità ed oggi si sa che è qualcosa di infinitamente piccolo e viene determinata da alcuni minuti frammenti di DNA. Infatti in Olanda all’Università di Vrije e nel suo celeberrimo centro di ricerche è stato organizzato uno studio sull’aspetto genetico della felicità. Studio che alla fine del mese scorso si è concluso con la pubblicazione della sensazionale scoperta che abbiamo riportato nel titolo. Ma la scoperta non si limita solo alla felicità, ma riguarda anche due varianti, sempre del DNA, che spiegano i sintomi della depressione e le undici varianti su cui si basano i vari gradi della nevrosi. Fino ad oggi, in base a studi di elettrofisiologia e di immunoistochimica si diceva che il sistema limbico era la centrale attraverso la quale chimica ed elettricità dominavano la psiche e gli sbalzi di umore. Proprio il sistema limbico era considerato responsabile dell’origine e della gestione delle emozioni e quindi della memoria, dell’apprendimento e del comportamento. Si è detto “sistema” perché anatomicamente è un vero e proprio sistema interconnesso tra talamo, amigdala, ipotalamo ed ippocampo e non per niente “limbus” significa anello e tale struttura è un anello che fino ad oggi è stato “responsabile” delle quattro funzioni della sopravvivenza: la lotta, la fuga, la nutrizione e la riproduzione. A tale funzioni nel tempo sono state aggiunte altre due varianti superiori: l’apprendimento e la memoria. Il sistema con questo tipo di assetto ha anche la capacità di influenzare e dominare il centro del pensiero. Tutto parte dal talamo, che raccoglie gli stimoli sensoriali provenienti da recettori esterni quali gli occhi, le orecchie e la pelle ed opera una prima elaborazione che invia alla corteccia cerebrale che a sua volta la gira all’amigdala. Nel caso di risposta rapida dell’organismo legata ad un attacco o ad una fuga la sua elaborazione giunge direttamente all’amigdala, collaudata specialista delle emozioni. Le emozioni non nascono solo come risposta ad un evento, ma anche come risposta legata alla memoria ed all’apprendimento e la struttura cerebrale che esercita queste due funzioni è l’ippocampo. Un altro organo connesso anatomicamente al talamo ed al sistema limbico è l’ipotalamo con funzioni di controllo del sistema nervoso autonomo (motilità viscerale, riflessi, ritmo sonno—veglia, temperatura corporea, bilancio idro-salino, appetito e tante altre) e del sistema endocrino grazie all’ipofisi con la quale è collegato per mezzo di neuroni (asse ipotalamo-ipofisario). Tutta questa organizzazione “cerebrale” viene oggi rimessa parzialmente in gioco dalla scoperta olandese, pubblicata su di una rivista internazionale di genetica e che ha chiaramente mostrato che i “geni della felicità” entrerebbero in funzione prima nel sistema nervoso centrale e poi nelle ghiandole surrenali e per ultima tappa nel pancreas. Quindi ci sarà da attendere tempo e altri studi per meglio chiarire la biochimica di certi sentimenti, perché sembra che oggi siamo in grado di trovare la felicità sempre e comunque. Al di là delle ricerca scientifica odierna di assoluto valore c’è un valore intrinseco, nello studio che abbiamo riportato con giusta enfasi ma che rimane, secondo noi, già nelle sue attuali conclusioni, una pietra miliare sul futuro affascinante della terapia…… dell’infelicità. E’ un discorso che diviene “farmacologico” nel senso che, se noi conosciamo in quale piccolissima parte del nostro DNA risiede la felicità, potremmo utilizzare farmaci specifici per ridurre indirettamente l’ansia e la depressione e ridare tono e vigore, benessere e fiducia ai pazienti etichettati come portatori di sindromi psichiatriche. Ogni persona è diversa da un’altra e la sua felicità è diversa da un’altra proprio perché le persone sono diverse geneticamente tra di loro, anche se alle differenze genetiche si devono aggiungere anche quelle culturali ed ambientali. Ogni individuo, anche in questo campo, va considerato con il suo fenotipo, che è l’insieme dei suoi caratteri fisici determinati dal patrimonio genetico e dall’azione dell’ambiente in cui vive. La ricerca della felicità non ci conduce alla felicità, ma oggi le varianti genetiche, a quanto pare, ci sapranno rendere meno ansiosi e più collaborativi e capaci di giocare un ruolo sociale ed economico diverso e sicuramente più positivo per noi stessi e per gli altri, anche perché, come diceva Leone Tolstoj :”l’unico modo per essere felici è vivere per gli altri”.
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