NUOVI FARMACI CONTRO LA SCLEROSI MULTIPLA
NUOVI FARMACI CONTRO LA SCLEROSI MULTIPLA
Si iniziò a parlare di sclerosi multipla già nel 1840 per un ventitrenne londinese colpito da paralisi progressiva. Ci vollero trent’anni di osservazioni per giungere ad una vera e propria entità nosologica, grazie ad un neurologo francese: Jean Martin Charcot, che la chiamò “malattia a placche sclerose”, caratterizzata soprattutto da nistagmo, tremori e parola scandita, che accompagnavano un’ideazione rallentata con deficit della memoria.
Al nistagmo (oscillazioni ritmiche ed involontarie degli occhi) si univa e si unisce una discinesia importante quale il tremore di tipo cerebellare, espressione di disturbi del movimento volontario. Questo tipo di tremore è detto anche intenzionale perché aumenta con il movimento. Altro problema del cervelletto è espresso con la parola scandita che significa enunciazione lenta con tendenza ad esitare all’inizio della parola o della sillaba.
All’epoca sembrava una patologia molto circoscritta, mentre oggi ci sono fino a 250 casi ogni 100.000 persone nel mondo, con tre milioni di ammalati. In Europa il numero è elevato: mezzo milione di casi con 70.000 solo nel nostro Paese. Due dati epidemiologicamente importanti ci dicono che in Italia c’è una grossa concentrazione di tali ammalati in Sardegna e che nel solo anno 1990 negli Stati Uniti furono riscontrati ben 350.000 casi. A Cagliari esiste un Centro Ospedaliero solo per Sclerosi Multipla presso l’Ospedale Binaghi, proprio a sottolineare la diffusione di tale patologia nell’isola sarda. In Italia, oltre a Cagliari ed al Centro di Ricerca di Roma è da annoverare anche quello Universitario di Genova. Altra zona del pianeta con numero elevato di casi è l’Islanda , seguita dall’Olanda, tanto da far avanzare l’ipotesi agli studiosi di un “gene vichingo” che trasmetta la malattia.
La sclerosi multipla colpisce le cellule nervose ed in particolare la guaina mielinica che è una sostanza isolante che ricopre le fibre di trasmissione degli impulsi dal cervello al midollo spinale. Quando le difese immunitarie scarseggiano, questa guaina viene attaccata e danneggiata e così non trasmette con efficacia i segnali. Si chiama sclerosi perchè si formano cicatrici (placche o lesioni) nella sostanza bianca del midollo e del cervello.
La sintomatologia di esordio varia da persona a persona, ma alcuni sintomi si ripetono più spesso di altri, come un calo visivo rapido e significativo o uno sdoppiamento della vista. Possono essere riferiti formicolii persistenti, perdita del tatto e della possibilità di percezione del freddo e del caldo insieme alla perdita di forza muscolare. La difficoltà di “pensare” subito alla sclerosi sta nel fatto che questi sintomi possono presentarsi singolarmente oppure simultaneamente. Non esiste un vero e proprio criterio di insorgenza.
Abbiamo detto che sulla genesi si sa ben poco, oltre a problematiche genetiche, ad esiti di malattie infettive ed a fattori di rischio ambientale, ma si sa ancora meno come curarla, o almeno si sa poco.
Qualche anno fa, ricercatori italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma pubblicarono su una rivista internazionale di immunologia un loro studio su una possibile causa della malattia. Si tratta del patologo generale Professor Francesco Ria e del microbiologo Giovanni Delogu, ricercatori presso il Policlinico “Gemelli”. Riuscirono a riprodurre, con un lavoro durato due anni, iniettando un microrganismo nei topi, una malattia autoimmune provocata da una reazione infiammatoria, simile in tutto e per tutto alla sclerosi multipla. Dopo questo studio, le teorie in campo si sono ridotte a due. Secondo la prima ipotesi, un virus si annida nel cervello e la risposta immunologica antivirale causa la malattia. La seconda parla di un’infezione virale o batterica del sistema nervoso e la cui reazione causa la malattia. Gli scienziati italiani propendono per questa origine ed infatti hanno modificato un batterio della tubercolosi, reso innocuo ed inserito nel cervello di topi. Per distruggerlo, sono intervenute le cellule T del sistema immunitario, che vengono modificate dal batterio e vien permesso loro in questo modo di penetrare la barriera emato-encefalica ed attaccare la mielina. Dopo quindici giorni il batterio scompare e diventa difficile poi stabilire i contatti con l’agente infettivo.
Oggi si è fatto un ulteriore passo avanti, soprattutto per il miglioramento della qualità della vita per ammalati che possono avere dai 20 ai 40 anni, con le donne affette da sclerosi in numero più del doppio rispetto agli uomini. In Italia si registrano duemila casi all’anno e la forma più frequente per l’85% dei casi è quella recidivante-remittente, con attacchi acuti che significano comparsa di una nuova lesione o l’attivazione di processi infiammatori. Dopo un attacco la malattia torna silente fino a quello successivo, ma col tempo le lesioni peggiorano ed i danni diventano permanenti. A questo va aggiunto che un terzo degli ammalati non seguono con precisione la terapia, con conseguente riduzione di efficacia della stessa.
Abbiamo riferito della forma recidivante-remittente, ma sono codificate almeno sei varianti cliniche, a partire da quella benigna fino alla progressiva – recidivante.
Le terapie attuali prevedono un’iniezione al giorno o a settimana e da qualche tempo sono state introdotte anche le terapie orali, migliorando così la gestione, così come delle infusioni da somministrare per alcuni giorni e poi star fermi per quasi un anno. Questo approccio terapeutico con farmaci di nuova generazione, fa vivere più sereni gli ammalati. In questo modo si può permettere loro di lavorare, di studiare, di vivere una vita quanto più possibile normale.
Il mese scorso a Barcellona, al Congresso Europeo di questa patologia, sono stati presentati i dati molto positivi di un anticorpo monoclonale (Ocrelizumab) utilizzato in tre studi di fase avanzata, sia per la forma di sclerosi recidivante-remittente che per quella primariamente progressiva, che è la forma che colpisce il 10% dei malati del nostro Paese. Il grande successo si è riscontrato nella forma progressiva primaria, che fino ad oggi non aveva nessuna possibilità di cura.
L’anticorpo monoclonale ha come bersaglio i linfociti di tipo B (CD20+), cellule del sistema immunitario che sarebbero responsabili del danno alla mielina ed ai neuroni, cause della disabilità.
Sono entrati nei tre trials clinici 2700 ammalati ed in 1600 di essi si è avuta la certezza che l’Ocrelizumab è più efficace dell’interferone beta, che oggi rappresenta una delle poche cartucce da sparare contro la sclerosi. Tra i risultati importanti sono da sottolineare la riduzione del numero delle recidive annuali, di nuove lesioni cerebrali ed il rallentamento della progressione della malattia.
Sono dati entusiasmanti ma bisogna, per correttezza in chi spera in qualche terapia nuova ed efficace, chiarire l’efficacia in tutte le fasi della malattia, ma soprattutto gli effetti collaterali nell’impiego a lungo termine.
Gianpaolo Palumbo
gianpaolopalumbo.ilponte@gmail.com